IL FUTURO DELLO STATO
Università degli Studi di Bologna – Bologna 16-17 settembre 2022
Verso la fine del XX secolo, è stata annunciata la ritirata rapida dello Stato, sotto la pressione del mercato, delle autonomie e della globalizzazione. Una congerie di teorie cerca, o ha cercato, di relegarlo nel “ripostiglio” dei modelli politici superati, ora postulandone l’eradicazione, ora immaginandone il superamento verso differenti entità internazionali o federali.
E invece, sullo scorcio di questo primo ventennio del XXI secolo, lo Stato è di nuovo al centro della scena, a causa di una serie di fattori, in buona parte concatenati. Prima si è trattato delle crisi economico-finanziarie, con le loro conseguenze in termini di sfiducia nei meccanismi di auto-regolazione del mercato, di crescita delle diseguaglianze e di nuove domande di partecipazione politica di portatori di interessi collettivi e diffusi. Negli anni più recenti, un’altra e ancora più inquietante crisi è stata determinata dallo scenario pandemico: benché esso abbia un carattere globale e intersechi ben precise vicende e comunità locali, è ancora una volta sulle autorità nazionali che è ricaduta principalmente la responsabilità di prendere decisioni e adottare misure, talora inedite. La debolezza degli strumenti di coordinamento internazionale e sovranazionale e le divergenze nelle reazioni locali appaiono, ora, punti di debolezza che mettono in una diversa luce la posizione dello Stato, peraltro anch’esso in affanno dinanzi a vicende che stenta a governare.
Il ritorno dello Stato – invero mai ritiratosi – è contrassegnato da ambiguità e contraddizioni che invitano gli studiosi a porsi domande che in parte sono nuove e assumono forme inconsuete, in parte vengono da lontano.
Un primo punto teorico si concentra sull’idea stessa dello Stato costituzionale. Essa è stata continuamente ridisegnata per adattarsi alle varie costituzioni materiali che sono state poste, e anche oggi vanno ponendosi, nel tempo e nello spazio. In fondo, se lo Stato è ancora un’idea politica persistente, ciò non dipende forse dalla sua formidabile capacità di adattamento? L’interrogativo si riflette su tutti gli elementi tradizionalmente collegati a questa idea. Il concetto di “popolo”, un tempo considerato un’unità data, presupposta dalla forma dello Stato, è ora connotato non solo dal pluralismo abbracciato dalle costituzioni del secondo dopoguerra, ma anche dal contatto con migrazioni e multiculturalismo. La “sovranità”, intesa come sovranità politica, ha dovuto affrontare le sfide poste da nuovi antagonisti (le cosiddette sovranità dell’economico, del biologico, della tecnica, della scienza e del digitale), ma rimane salda nella sua essenza. La stessa idea di “localizzazione” non può non esserci, perché ci siano uno Stato e il suo diritto, ma è forse quella più direttamente chiamata in causa da una pluralità di vicende, ai più vari livelli: da quelli coincidenti con specifiche aree di crisi, dove forme politiche senza spazi predeterminati lottano per la propria affermazione e sopravvivenza; fino alla sfera rarefatta ma molto concreta del cyberspazio, dove emerge un’esigenza sempre più pressante di definire una “sovranità digitale” e di assegnare allo Stato un ruolo finora delegato ai mercati. Le spinte sopra evidenziate attraversano anche una delle espressioni tradizionalmente tipiche della sovranità statutale: l’esercizio della potestà punitiva. Da un lato, il sistema penale si presenta pluridimensionale e multilivello. Dall’altro, però, esso viene sempre più spesso identificato non come una extrema ratio, ma piuttosto come lo strumento cui ricorrere in via principale e immediata, quasi fosse il segno tangibile della presenza dello Stato e il dispositivo per esorcizzarne la crisi.
Un secondo insieme di domande di ricerca concerne il futuro dello Stato amministrativo. Da un lato, emerge la tendenza a rialzare barriere nel commercio globale e negli investimenti internazionali. Dall’altro, aumenta la domanda di intervento pubblico per porre rimedio alle distorsioni dei mercati finanziari, per rilanciare l’economia e offrire protezioni sociali. Tuttavia, a causa della crisi del debito sovrano e delle concomitanti politiche di austerità, gli apparati amministrativi dispongono di risorse sempre minori per rispondere a queste domande. Si tratta, insomma, di conciliare esigenze opposte: più e meno Stato, allo stesso tempo. Perciò, a tutte le latitudini, i governi sono continuamente impegnati in ambiziose politiche di riforma. L’aspirazione è costruire uno Stato più efficiente che massimizzi l’uso delle risorse a disposizione e garantisca la soddisfazione di vecchi e nuovi bisogni collettivi anche attraverso l’introduzione dell’intelligenza artificiale. La frammentazione interna dello Stato (agenzie, autorità indipendenti, società di vario genere, fondazioni), tuttavia, solleva difficili problemi di coordinamento e mette in dubbio l’uniformità delle regole pubbliche.
Un terzo punto di vista guarda allo Stato attraverso lo scenario europeo ed internazionale. Sia pure non senza discussioni e incertezze, fanno ormai parte del pensiero giuridico paradigmi che vanno ben oltre il diritto internazionale classico. Eppure, proprio su questo versante, appare necessaria una valutazione, anche scientifica, dei meccanismi di integrazione e cooperazione dopo l’emersione dei cosiddetti sovranismi. Nell’Unione europea, dinamiche note, ma ancora bisognose di approfondimento, hanno contribuito ad indebolire istituti e politiche cruciali (come ad es. la cittadinanza europea o le politiche migratorie), sino a metterne in discussione l’impianto valoriale e, dunque, le fondamenta stesse del processo di integrazione e l’adesione ad esso. D’altra parte, è anche vero che talune delle misure messe in campo dall’Unione per far fronte alla pandemia – su tutte il Next Generation EU – sembrano preludere ad un possibile cambio di passo, per certi versi volto a rifondare il processo di integrazione. Sul piano internazionale, si sono progressivamente consolidati i processi di ritiro unilaterale dai fori di cooperazione multilaterali e dalle organizzazioni internazionali, così come le azioni volte a intralciare o bloccare gli strumenti di cooperazione.
L’emergenza pandemica rappresenta un banco di prova per questi temi, sollevando ancora una volta anche l’esigenza di un dialogo sulla gestione di risorse ormai essenziali come lo spazio di Internet: una condizione eccezionale, che mette a dura prova tutto l’insieme dei poteri pubblici il sistema istituzionale fin nei suoi fondamenti, disvelandone natura, portata e limiti. L’intero sistema dei poteri pubblici – dalle fonti del diritto, alla capacità amministrativa di intervento, sino agli strumenti penali di prevenzione – è stato, e in certa misura ancora è, sottoposto a tensioni senza precedenti in tempi di pace. Tutti i punti elencati, dunque, si prestano a essere guardati attraverso il prisma dell’emergenza.
Nel momento in cui questo invito viene redatto, un notevole grado di incertezza avvolge ancora gli sviluppi epidemiologici in corso e quelli dei mesi che ci attendono: mentre in Europa la quarta ondata del contagio pare perdere forza, in alcuni paesi sembra tornare l’ombra del lockdown, mentre altri cercano di scongiurarlo mediante un forte impegno nelle campagne vaccinali, e altri ancora stentano a trovare la collaborazione internazionale di cui hanno bisogno per arginare la pandemia. Nondimeno, al momento, la diffusione di questo invito vale anche come auspicio che si riescano a conservare i mezzi e la serenità, faticosamente e forse non ancora per intero recuperati, per riflettere pacatamente su ciò che questa difficile situazione sta insegnando, anche in merito al senso della vita sociale e al ruolo delle istituzioni.
Programma definitivo
Towards the end of the 20th century, a rapid retreat of the State was announced, under the pressure of markets, local autonomies, and globalisation. A wide array of theories has tried to “archive” the State as an outdated political model, claiming either its eradication or its substitution by different international or federal entities.
Nevertheless, in the past twenty years, and due to a series of interconnected factors, the State has found its way back to centre-stage. The economic and financial crises have resulted in a distrust of market self-regulation, in the deepening of inequalities and in new demands for political participation by stakeholders and public interest groups. In the last two years, another, even more unsettling crisis has been determined by the pandemic: notwithstanding its global character and its impact on local communities, States have been the main actors responsible for the pandemic’s management. The difficulties faced by international and supranational coordination instruments and the divergences among local reactions have exposed weaknesses which in turn have shed new light on the role of the State, itself struggling when faced with these unprecedented circumstances.
The return of the State – if it ever retreated at all – is charged with ambiguities and contradictions, and invites scholars to investigate both new and long-standing questions.
A first set of questions concerns the idea of the constitutional State itself, which has undergone many adaptations throughout its history, adapting to the material circumstances at play. Could the persistence of the idea of the State be rooted in its remarkable capability to adapt? Such adaptability is reflected in all its constitutive elements: the idea of ‘people’ is no longer limited to a presupposed national community, but has expanded as a consequence of post-war pluralism, migrations, and multiculturalism; sovereignty, understood in its political dimension, has been challenged by several competitors (the economy, science, digital technologies, only to name a few), but remains whole in its essence; perhaps the territorial dimension, necessary for the presence of statute law itself, has been the most affected and was deeply questioned by a variety of factors that operate at different levels. These range from locally circumscribed areas of crisis, where the distinct kinds and forms of politics compete with one another to survive, to the more rarefied, yet very concrete, dimension of cyberspace, where the pressing need to define a form of “digital sovereignty”, and assign a role to the State that has been so far delegated to the market, surfaces with all its urgency. The abovementioned tensions also touch upon some of the most sensitive areas of State power: criminal law and punishment. On the one hand, the criminal law system is inherently multi-dimensional and multi-level. On the other hand, criminal law is increasingly often identified not as an extrema ratio, but rather as a first response, as if to reiterate the State’s presence and exorcise its crisis.
A second set of questions concerns the future of the administrative State. On the one hand, we can observe the re-emergence of trade and investment barriers at the global level. On the other hand, the distortions caused by financial markets beg public intervention in order to stimulate the economy and support the weaker strata of society. At the same time, the sovereign debt crisis and the ensuing austerity policies have reduced the resources and capacities that administrations have to respond to such demands. It becomes evident that opposing demands must find a way to coexist, as claims for more and less State are advanced at one and the same time. Governments worldwide thus undertake continuous efforts to engage with ambitious political reforms. The aspiration is that of building a more efficient State, capable of maximising the available resources and of ensuring the fulfilment of new and old collective needs, even through the use of artificial intelligence. Internal fragmentation (into agencies, authorities, foundations, and the like) raises difficult coordination problems and questions the uniformity of public rules.
A third perspective looks at the State from an international and European standpoint. While having long reached beyond traditional international law paradigms, current integration and cooperation mechanisms need to be carefully analysed, also as a consequence of the emergence of sovereignism. In the EU, internal and external pressures have contributed to the weakening of crucial institutions and policies (e.g. citizenship and migration policies), questioning its value-system and, therefore, the foundations of the European integration project itself. Then again, some of the measures that the EU implemented to face the pandemic’s consequences (more notably, the Next Generation EU) seem to indicate a change in pace aimed more generally at laying down, once more, the foundations of the integration process. The international level, on the other hand, is witnessing a crisis of multilateralism, withdrawals from international organisations, and attempts at obstructing international cooperation.
The pandemic represents a testing ground for all such themes, and it underscores the need for dialogue about the management of essential resources such as space internet. The emergency scenario has put to test the foundations of the whole institutional design system, shedding light on its nature, scope, and limitations. The entire system of public power (sources of law, administrative intervention, prevention through criminal law) has been, and to a certain extent still is, under a pressure until now unknown in times of peace. All the perspectives mentioned above can therefore be analysed through the prism of emergency.
At the time of writing, uncertainty concerning the epidemiological developments over the next months still remains. Whereas the fourth wave of contagion seems to be losing its strength in Europe, in some countries lockdowns still cast their shadow upon the population, in other great emphasis is being placed on vaccination campaigns, while other struggle to find the international support they need to fight the pandemic. Nevertheless, in extending this invite at the present moment, we hope that we will be able to enjoy the recently, and not yet entirely, regained physical and intellectual conditions needed to reflect on the current developments and their implications on the institutional and societal level.